La Pituccia®
Peta® e Pituccia®. Di origini contadine, la tradizione vuole che nacquero per soddisfare l´esigenza di conservare la carne nei mesi autunnali e invernali, in zone tradizionalmente povere, come quelle delle valli a nord di Pordenone. Se si uccideva un camoscio o un capriolo, se si feriva o ammalava una pecora o una capra (troppo preziose per essere macellate), si doveva trovare il modo di non sprecare nulla.
Da queste esigenze di conservazione delle carni nacquero la Pituccia® e la sue variante Peta®, che differivano per le diverse erbe aromatiche aggiunte nell´impasto e, nel caso della peta, per le dimensioni più grandi. L´animale veniva disossato e la carne triturata finemente nella pestadora (un ceppo di legno incavato). Alla carne si aggiungevano sale, aglio, pepe nero spezzettato.
In Val Cellina, area di produzione della Pituccia®, finocchio selvatico e bacche di ginepro. La Peta®, versione “magnum” della Pituccia®, era tipica di Andreis, una delle località della Val Cellina: rotonda, leggermente schiacciata, poteva pesare anche un chilo. Con la carne macinata si formavano piccole polpette, si passavano nella farina di mais e si facevano affumicare sulla mensola del fogher. La Pituccia®, col passar del tempo, si asciugava e per consumarla occorreva ammorbidirla nel brodo di polenta.
Oggi la Pituccia® è ingentilita da una parte di carne di maiale (lardo o capocollo) che smorza il sapore intenso e un po’ selvatico della carne di capriolo, camoscio, cervo, muflone, capra o pecora. La Peta® è invece fatta con carne di manzo. L´affumicatura si realizza con diversi legni aromatici, a volte mescolati tra loro (ma con la prevalenza del faggio e del ginepro).